Il prestito con cessione del quinto viene rimborsato regolarmente dal datore di lavoro di chi ha chiesto il prestito. Ma cosa succede alla cessione in caso di licenziamento? E se invece il dipendente si dimette? Ecco quali sono le regole da seguire e quali le differenze che esistono tra lavoratori del settore pubblico e quello privato.
In questo articolo si parla di:
Cosa succede alla cessione del quinto in caso di licenziamento
Uno degli aspetti che può differenzia i prestiti con cessione del quinto dai prestiti personali è la modalità di rimborso del finanziamento. Quando si firma una cessione del quinto è il datore di lavoro di chi chiede il finanziamento che trattiene e versa la rata alla banca o alla finanziaria che hanno concesso il prestito.
Se il lavoratore viene licenziato oppure se si dimette viene meno il rapporto di lavoro e quindi non esiste più la figura del datore che ha il compito di rimborsare le rate. Il licenziamento o le dimissioni non cancellano comunque il prestito, che deve continuare a essere rimborsato.
A seconda delle circostanze che portano a interrompere il rapporto di lavoro entrano in gioco:
- il vincolo sul TFR dei lavoratori dipendenti del settore privato;
- la polizza assicurativa;
- gli eventuali nuovi datori di lavoro.
Cosa succede ai dipendenti privati
I dipendenti privati possono essere licenziati per vari motivi. I più frequenti sono:
- il fallimento o la chiusura dell’azienda;
- la giusta causa;
- il giustificato motivo soggettivo.
Se il licenziamento è dovuto a motivi relativi all’azienda (fallimento o chiusura) il debito residuo viene coperto per intero dalla polizza assicurativa che tutela il debitore dal rischio di perdere il posto di lavoro. La polizza rischio impiego può prevedere o meno l’opzione di rivalsa nei confronti del debitore.
Nelle polizze che non prevedono l’opzione di rivalsa la persona che ha chiesto il finanziamento non deve preoccuparsi di nulla: la compagnia salda il debito residuo e non c’è alcun obbligo nei confronti dell’assicurazione. Nelle polizze in cui è prevista l’opzione di rivalsa, invece, la compagnia assicurativa può chiedere alla persona debitrice il rimborso della somma versata all’istituto che aveva concesso il finanziamento.
Spesso il licenziamento è dovuto al comportamento assunto dal lavoratore (licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, ma anche dimissioni). In questo caso il contratto con la compagnia assicurativa può non coprire il debito oppure può coprirlo e poi rivalersi sulla persona che aveva chiesto il prestito.
I dipendenti del settore privato al momento della firma del contratto di cessione del quinto accettano che l’istituto finanziario stabilisca un vincolo sul TFR maturato, per una cifra pari al debito residuo. Se il fondo TFR accantonato è superiore al debito residuo non ci sono problemi, dal momento che in caso di licenziamento o di dimissioni il debito è completamente coperto.
Se, per esempio, il dipendente ha maturato un TFR di 20.000 euro e al momento del licenziamento il debito residuo da rimborsare è di 15.000 euro il datore di lavoro deve versare 15.000 euro del trattamento di fine rapporto alla banca e i restanti 5.000 al lavoratore.
Se invece il TFR non copre tutto il debito residuo, quando il lavoratore lascia l’azienda l’intero TFR viene versato dalla banca e il debitore deve concordare una soluzione con l’istituto di credito per il rimborso della parte residua del debito.
Cosa succede ai dipendenti pubblici
Per i dipendenti pubblici è previsto un iter diverso. Per chi lavora per un’amministrazione pubblica o per un ente locale non esistono vincoli sul trattamento di fine servizio. In caso di dimissioni o di licenziamento, quindi, interviene la polizza assicurativa o, se il lavoratore trova un altro impiego, il debito viene rinotificato al nuovo datore di lavoro.
La rinotifica del debito e l’accordo con l’istituto finanziario
Quando il fondo TFR non basta a coprire il debito residuo o se si tratta di un dipendente pubblico possono presentarsi due situazioni diverse:
- il lavoratore trova subito un altro impiego;
- il debitore non trova un lavoro per un periodo di almeno sei mesi.
Se la persona che è stata licenziata trova un altro lavoro in tempi brevi, il rimborso della cessione del quinto riprende da dove era rimasto. L’istituto di credito rinotifica il debito al nuovo datore di lavoro, che si impegna a trattenere e a rimborsare la rata.
L’importo della rata rimane lo stesso della cessione originaria, a meno che la rata non sia superiore al quinto del nuovo stipendio netto. Consideriamo, ad esempio, un lavoratore che al momento della cessione percepiva uno stipendio netto di 1.500 euro, pagando quindi una rata di 300 euro al mese. Se il nuovo stipendio è uguale o superiore rispetto a 1.500 euro l’importo della rata rimane invariato, se invece lo stipendio è più basso si può chiedere la riduzione della rata.
Nel caso in cui il debitore non trova subito un altro lavoro, invece, deve concordare un piano di rientro del debito con la banca o la finanziaria che avevano concesso il prestito. Nel caso in cui il debitore non abbia abbastanza denaro e la condizione di disoccupazione dura per almeno sei mesi, si può arrivare a un accordo di tipo “saldo e stralcio”, grazie al quale si può estinguere il debito pagando solo una piccola percentuale dello stesso.